I tre pilastri per rendere la moda davvero sostenibile
Per studiare un modello realmente circolare e sostenibile bisogna partire da un’analisi completa, che tenga conto non solo dell’impatto ambientale, ma anche di quello sociale e della governance. Ne abbiamo parlato con Francesca Romana Rinaldi, Direttrice del Monitor for Circular Fashion e co-autrice del saggio “Circular Fashion Management”.
di Redazione
In questo momento c’è molta attenzione sulla prossima entrata in vigore del regime di Responsabilità Estesa del Produttore, che fa parte delle strategie dell’Unione Europea per ridurre gli impatti ambientali del tessile abbigliamento (ne abbiamo parlato recentemente anche in questo articolo). Tuttavia, il fattore ambientale è solo uno degli aspetti cruciali da tenere presente quando si parla di sostenibilità, anche nel settore moda. Francesca Romanda Rinaldi, docente della SDA Bocconi e Direttrice del Monitor for Circular Fashion è capofila e co-autrice del saggio “Circular Fashion Management”: una raccolta di contributi di 27 esperti sulla circolarità nel settore tessile e moda, che si propone di analizzare il tema a tutto tondo, considerando non solo l’impatto sulle risorse del pianeta, ma anche quello sociale e l’aspetto della governance, in piena ottica ESG. Approfittiamo per approfondire con lei alcuni aspetti cruciali trattati nel libro e tracciare alcune riflessioni legate all’attualità.
Come è nato questo progetto a più voci e a chi è rivolto?
FRR – La transizione verso il modello circolare oggi è guidata principalmente dal driver normativo e richiede cambiamento culturale, formazione ed investimenti. Quindi non è solo una questione di normativa, ma anche etica e strategica. Ciò che serve alle aziende e alle organizzazioni ora è un contesto regolatorio chiaro e coerente, che dia stabilità agli investimenti in sostenibilità e circolarità. “Circular Fashion Management” vuole essere di supporto a manager e professionisti della sostenibilità per prepararsi con un approccio olistico – ambientale, sociale, di governance ed una prospettiva multistakeholder – alla complessità del modello circolare che sta trasformando radicalmente il settore moda. Per curare i contenuti del libro ho fatto leva sul lavoro che svolgiamo nell’osservatorio di ricerca Monitor for Circular Fashion di SDA Bocconi: ho coinvolto 27 esperti di tracciabilità, sostenibilità e circolarità nella moda per condividere idee, prospettive e strumenti con l’obiettivo di catalizzare il cambiamento per un futuro più sostenibile.
Sono due i grandi temi di attualità a livello legislativo nel settore tessile, uno a monte della filiera, quello dell’ecodesign, e uno a valle, quello dell’EPR. Nel saggio si parla di entrambi: ci spieghi in sintesi di cosa si tratta?
FRR – Credo sia utile partire da qualche dato:
– ogni persona in media in Europa genera 15Kg di scarti tessili ogni anno;
– sono circa 40 milioni le tonnellate di rifiuti tessili generate all’anno a livello globale;
– meno dell1% dei rifiuti tessili è riciclato da fibra a fibra;
– ad oggi solo il 38% dei tessili usati è raccolta separatamente per riuso e riciclo.
La direttiva quadro per i rifiuti e la relativa responsabilità estesa del produttore (EPR) che in Francia è presente dal 2007 è finalmente in arrivo anche in Italia. Questa può essere vista come una grande opportunità, quella di estendere la vita delle risorse, di creare un nuovo mercato da scarti tessili di riduzione dell’impatto della filiera del settore moda sul pianeta. È importante però gestire meglio la risorse tessili a disposizione, iniziando dalla raccolta ma anche applicando i principi di ecodesign nel progettare le collezioni moda. A queste opportunità si affiancano delle sfide: nuove competenze da sviluppare nelle aziende; importanza di investire in tecnologie ed infrastrutture circolari; l’armonizzazione della normativa tra paesi EU.
Il 99% del sistema moda italiano è composto da piccole e medie imprese (PMI). In questo contesto in evoluzione per il settore, qual è il loro ruolo e quali sono le strade per coinvolgerle attivamente?
FRR – È un momento cruciale di trasformazione per le aziende italiane delle filiere della moda – un settore che ha visto restringersi il proprio tessuto imprenditoriale negli ultimi 15 anni del 30% con un calo di oltre 33.000 aziende. Le PMI devono essere maggiormente coinvolte nelle strategie europee e nazionali sulla circolarità, data la loro rilevanza nel settore della moda. Abbiamo messo questa necessità al centro della discussione durante l’evento “Economia circolare e settore moda: dialogo sulle priorità” organizzato dal Monitor for Circular Fashion con CNA Federmoda al Parlamento Europeo il 12 giugno 2025. Tra i punti salienti menziono il riconoscimento dell’importanza di adattare le normative in funzione della dimensione aziendale, favorendo un “smart mix” tra grandi e piccoli player, e l’esigenza di rafforzare le partnership tra attori upstream e downstream della filiera.
È stata recentemente presentata la bozza di normativa EPR italiana, ora si aspetta l’esito delle consultazioni, terminate lo scorso 5 maggio. Quanto peserà la capacità dei vari attori coinvolti nel decreto di costruire partnership di filiera?
FRR – La collaborazione tra produttori, distributori, gestori del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, cooperative e organizzazioni non governative è indispensabile per garantire una gestione efficace del ciclo di vita dei prodotti tessili. Il coinvolgimento attivo di tutti gli attori della filiera è l’elemento fondante per creare un sistema EPR sostenibile, efficiente e in grado di rispondere alle sfide ambientali e sociali del settore. E’ importante che tutti gli attori in gioco siano coinvolti per costruire la filiera circolare, in attesa di un quadro normativo definitivo.
Parlando al consumatore finale, cosa si deve aspettare nel medio termine? Ci saranno dei cambiamenti percepibili che potranno influenzare, si spera positivamente, le scelte d’acquisto?
FRR – Questa è la vera sfida! Nel medio termine i costi legati alla raccolta, al trattamento e alla riciclabilità dei prodotti a fine vita ricadranno almeno in parte sui produttori, che potrebbero trasferirli sui consumatori finali. Ma in un mercato concorrenziale (come quello dei consorzi EPR in Italia) e con incentivi ben strutturati (che speriamo arrivino), l’aumento sarà limitato. Con l’EPR i consumatori potrebbero essere spinti a riparare maggiormente i capi anziché sostituirli, crescerà l’interesse per il mercato dell’usato, il noleggio di abiti o i servizi di ricondizionamento. I consumatori avranno a disposizione un numero più elevato di punti di raccolta e ritiro dedicati per i capi usati. Potrebbero anche ricevere incentivi (sconti o buoni) per restituire vestiti inutilizzati, stimolando un comportamento circolare.
