La nuova strategia di contrasto all’AIDS lanciata dalla Nazioni Unite nel 2021 “END INEQUALITIES. END AIDS” punta a sradicare le disparità socio-economiche, principale ostacolo nella lotta al virus. La Federazione Internazionale Humana People to People è impegnata da oltre 20 anni nella lotta contro l’HIV/AIDS attraverso il programma TCE (Total Control of Epidemic), che pone al centro dell’azione le persone e la comunità.

di Alessandra Di Stefano

Sono trascorsi 40 anni da quando il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) è stato rilevato e isolato. Negli ultimi quattro decenni i progressi della scienza, gli investimenti in salute pubblica e le campagne di prevenzione e sensibilizzazione hanno prodotto importanti passi in avanti nella lotta all’AIDS. Secondo gli ultimi dati riportati da UNAIDS le nuove infezioni da HIV sono scese del 52% rispetto al picco di contagi del 1997, il numero di persone con accesso alle terapie antiretrovirali è salito a 28.2 milioni a fronte dei 7.8 milioni del 2010 e il numero di infezioni tra i bambini è diminuito del 53% dal 2010 ad oggi. Nonostante siano stati compiuti importanti passi in avanti, i progressi per centrare l’obiettivo delle Nazioni Unite di sconfiggere l’AIDS entro il 2030 (OSS 3) non sono stati globalmente sufficienti a raggiungere i target previsti. Nel 2019 poco più di quaranta paesi avevano raggiunto, o erano prossimi a farlo, i target necessari a raggiungere l’obiettivo finale. Donne, adolescenti e popolazioni chiave[1]continuano ad essere colpiti in modo sproporzionato dall’HIV. In Africa Subsahariana, il continente più colpito dall’epidemia di AIDS, i dati sono impietosi: ogni settimana si registrano 4.500 nuove infezioni tra ragazze di età compresa tra i 15 e i 24 anni, mentre tra le popolazioni chiave il rischio di contrarre l’infezione è tra le 25 e le 35 volte più alto rispetto al resto della popolazione. Il Covid-19 ha rallentato la lotta all’HIV, aggravando le condizioni di salute delle persone affette dal virus. Studi condotti in Inghilterra e in Sudafrica hanno rilevato che le persone con l’HIV sperimentano effetti più gravi del Covid-19, mentre il rischio di andare incontro a decesso è del 30% più alto rispetto agli individui non sieropositivi. A metà del 2021 la maggior parte delle persone affette da HIV non aveva avuto accesso ai vaccini. In Africa Subsahariana dove vive circa il 67% della popolazione con HIV, a luglio 2021 solo il 3% della popolazione era stata vaccinata. Le restrizioni imposte dalla pandemia hanno ridotto l’accesso ai test e ai trattamenti in molti paesi. Gli studi realizzati dal Fondo globale per la lotta all’AIDS, alla tubercolosi e alla malaria presso 502 strutture sanitarie in 32 paesi africani e asiatici hanno evidenziato che l’accesso ai test è diminuito del 41% mentre le richieste di accesso alle cure sono calate del 37% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

La nuova strategia di contrasto all’AIDS lanciata dalla Nazioni Unite nel 2021  “END INEQUALITIES. END AIDS”, punta a colmare questi gap attraverso un cambio radicale nell’approccio alla malattia. In molti paesi a basso e medio indice di sviluppo le disparità socio-economiche come povertà, disoccupazione e disuguaglianza di genere sono il principale ostacolo nella lotta al virus. La nuova strategia punta a sradicare queste disparità, attraverso tre obiettivi strettamente collegati:

  1. Implementare servizi incentrati sulle persone e orientati ai loro specifici contesti promuovendone una fruizione equa e paritaria;
  2. Fornire risposte e risorse efficaci contro l’HIV integrandole nei sistemi sanitari, nei sistemi di protezione sociale e nei contesti umanitari;
  3. Rimuovere tutti gli ostacoli di ordine sociale e legale che possano sfavorire l’accesso ai servizi di contrasto dell’HIV.

I macro obiettivi contenuti nella strategia prevedono di abbattere entro il 2025 il numero di nuove infezioni da 1.5 milioni a 370.000, i decessi collegati all’AIDS da 680.000 a 250.000 e le nuove infezioni tra i bambini da 150.000 a meno di 22.000. Al centro della nuova strategia le Nazioni Unite pongono la lotta alle disuguaglianze e alle discriminazioni mettendo le persone e le comunità più vulnerabili alla base delle azioni di contrasto all’AIDS. Per questo motivo, la strategia fissa anche obiettivi e impegni che riguardano la natura sociale degli interventi sanitari tra cui: portare al 30% i servizi di testing e di trattamento forniti da organizzazioni guidate dalle comunità; portare all’80% i servizi e i programmi di prevenzione per le popolazioni chiave e per le donne guidati da persone della stessa popolazione chiave o da organizzazioni guidate da donne; portare al 60% i programmi per il raggiungimento di fattori di promozione sociale cui devono collaborare le organizzazioni guidate dalla comunità. Il ruolo della comunità è stato rilevante durante la prima ondata di Covid-19. Ad esempio, in sette paesi dell’Africa orientale e meridionale 2.500 centri di trattamento per l’HIV finanziati dal U.S. President’s Emergency Plan for AIDS Relief (PEPFAR) si sono appoggiati alle strutture comunitarie alle quali hanno fornito farmaci antiretrovirali per coprire periodi di cura più lunghi (in genere sei mesi anziché tre mesi). Nel 90% dei casi questa strategia ha ridotto la percentuale di pazienti che hanno subito interruzioni del trattamento a seguito delle limitazioni imposte dalla pandemia.

La Federazione Internazionale Humana People to People è impegnata da oltre 20 anni nella lotta contro l’HIV/AIDS attraverso un programma chiamato TCE (Total Control of Epidemic), il quale dal 2000 ha permesso di raggiungere oltre 21 milioni di persone in 12 paesi in Asia e Africa Subsahariana. Ne abbiamo già parlato qui in un altro ‘articolo del nostro blog. Come in tutti i programmi di cooperazione implementati dalla nostra Federazione, l’approccio utilizzato con il TCE pone al centro dell’azione le persone e la comunità. Sotto il motto: “Solo le persone possono liberarsi dall’AIDS” il programma ha aiutato migliaia di persone, fornendo loro gli strumenti per combattere l’HIV/AIDS e vivere una vita dignitosa. Il programma punta a favorire la diagnosi tempestiva e l’accesso precoce alle cure e a combattere lo stigma e la discriminazione mediante il lavoro attivo all’interno della comunità. Attraverso test e cure a domicilio, i volontari impiegati nel programma si assicurano che le persone seguano in modo corretto le cure e che queste siano efficaci per abbattere la carica virale del virus. Il nostro lavoro è allineato con i principali programmi delle Nazioni Unite per la lotta all’HIV/AIDS ed è riconosciuto come modello di intervento virtuoso dai principali attori internazionali impegnati nella lotta all’AIDS. In Botswana il governo ha adottato il modello del TCE come parte integrante della strategia nazionale per combattere l’HIV/AIDS. La capacità di collegare le strutture sanitarie alle comunità più remote e il costante lavoro con la popolazione target ha portato Humana Botswana ad implementare numerosi progetti sostenuti da agenzie internazionali, tra cui il progetto Advancing Partners and Communities (APC 1.0) finanziato dal PEPFAR volto a fornire servizi per contrastare l’HIV tra i giovani più vulnerabili. I paesi nei quali opera la nostra Federazione sono tra i più colpiti dalla diffusione del virus dell’HIV e hanno sistemi sanitari fragili; per questo la diffusione del Covid-19 ha reso necessario un enorme sforzo per non vanificare i progressi raggiunti negli ultimi anni. Il TCE ha rafforzato la propria azione verso i gruppi più a rischio e le popolazioni più vulnerabili, dando priorità a chi ancora non ha accesso ai servizi e ai trattamenti. L’ultimo rapporto pubblicato da UNAIDS in occasione della giornata mondiale dedicata alla lotta all’AIDS “Unequal, unprepared, under threat: why bold action against inequalities is needed to end AIDS, stop COVID-19 and prepare for future pandemics” porta all’attenzione della comunità internazionale cinque fattori critici sui quali intervenire per raggiungere gli Obiettivi delle Nazioni Unite, tra cuila  necessità di rafforzare le infrastrutture sanitarie guidate e basate sulla comunità; favorire l’accesso ai farmaci, ai vaccini e tecnologie sanitarie; porre i diritti umani al centro della strategia di contrasto all’epidemia. Negli anni passati questi elementi sono stati considerati marginali nella lotta all’epidemia, tuttavia, la crisi innescata dal Covi-19 ha richiesto significative correzioni di rotta alla strategia globale contro l’AIDS. L’auspicio è che tali correzioni possano porre fine all’AIDS entro il 2030 e proteggere il mondo da future pandemie. Come ci ha insegnato la crisi pandemica: nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro.

[1] Per “popolazioni chiave “si intendono i gruppi particolarmente vulnerabili all’HIV, i quali hanno accesso limitato ai servizi di supporto e assistenza. Le Nazioni Unite hanno individuato 5 gruppi chiave che comprendono: persone in carcere o sotto reclusione, lavoratori del sesso, persone che si iniettano droghe, transgender, omosessuali e uomini che hanno relazioni con altri uomini.