Il movimento Fashion Revolution vuole essere il primo passo per comprendere ciò che significa comprare un capo d’abbigliamento, rispettando le persone e l’ambiente. Poter scegliere cosa acquistare permette ad ognuno, nel suo piccolo, di contribuire a cambiare le cose per il meglio.

di Alessia Benetti

Ogni anno, nel mese di aprile, si celebra la Fashion Revolution Week: un evento dedicato alla moda etica e sostenibile che ha come obiettivo quello di valorizzare una diversa industria del Fashion basata sul rispetto dell’ambiente e dei lavoratori.

I grandi marchi di abbigliamento hanno rivoluzionato il nostro modo di acquistare. Servendosi delle tendenze della moda in continuo mutamento inducono il cliente a un consumo eccessivo dei capi, facilmente fruibili grazie al loro basso costo. Una strategia di guadagno sicuramente vincente, ma dannosa per l’uomo e il pianeta.

Consumismo, sfruttamento umano, inquinamento, diminuzione delle risorse naturale: di fronte a queste conseguenze deleterie delle Maison, noi consumatori abbiamo il potere di scegliere, concentrando i nostri acquisti su realtà virtuose e trasparenti.

Prima di comprare un determinato capo o accessorio è però necessario porsi delle domande, una tra queste potrebbe essere: “Quanto costa realmente quel vestito che vorremmo acquistare?”. Su questo fronte attualmente esiste ancora una mancanza di comprensione di quale debba essere il costo minimo di un indumento e per quali ragioni. Aspetti che se tralasciati purtroppo portano a non riflettere sui reali costi sociali e ambientali della produzione di un indumento e a non allarmarsi davanti a un valore economico eccessivamente basso. Spesso infatti non consideriamo che dietro un prezzo “a buon mercato” alcuni Paesi vengono sfruttati. Secondo le indagini condotte dal movimento internazionale Fashion Revolution, le giovani donne cinesi eseguono fino a 150 ore mensili di straordinari, il 60% di loro non ha un contratto e il 90% non ha accesso alla previdenza sociale.

Impiegare le proprie capacità in un ambiente non soggetto alla schiavitù, ma che garantisce il rispetto dell’individuo sul posto di lavoro è un diritto inalienabile che deve essere esteso a tutta la popolazione mondiale. Nella maggior parte dei Paesi in cui viene prodotto l’abbigliamento Fast Fashion, si evidenzia uno squilibrio di genere radicato. Più ci si addentra nella catena di approvvigionamento maggiormente precario è il lavoro, minore la retribuzione e maggiore è la percentuale di donne lavoratrici.

Una situazione più che allarmante che ci deve spingere a riconsiderare anche la sfera sociale delle Maison e non solo quella ambientale, con i relativi impatti che ormai tutti conosciamo: gli elevati consumi di acqua, le ingenti emissioni di CO2, il rilascio di notevoli quantità di pesticidi e coloranti. Secondo il Centre for Sustainable Fashion le emissioni di CO2 prodotte dall’industria della moda aumenteranno del 60 % nei prossimi 12 anni.

Uno spunto per cambiare le nostre abitudini e provare a ridurre questi gravissimi effetti può essere applicato proprio nel momento in cui decidiamo di acquistare qualcosa. Si inizia pensando a quante volte indosseremmo quel vestito o accessorio e si calcola poi di conseguenza il costo effettivo. Il prezzo di vendita si divide quindi per il numero di volte che ipotizziamo di indossare quel capo e il risultato è presto svelato! Per fare un esempio più pratico: se compriamo un pantalone a 19€, ma lo indossiamo 2 volte, il costo sarà di 19 diviso 2 cioè 9,5€. Mentre se spendiamo un po’ di più per un articolo di qualità, per esempio, 59€ e lo indossiamo 10 volte quel vestito ci sarà costato 5,9€ quindi in termini economici risulterà meno caro del primo.

Altro aspetto da considerare è che se un indumento costa di più non significa che è stato prodotto da un’azienda virtuosa. Fondamentale quindi è accertarsi che il brand in questione sia realmente sostenibile, andando a indagare ad esempio i materiali che utilizza, i trattamenti che effettua sui capi o quanto cerchi di ridurre e compensare l’inquinamento generato dalla propria produzione.
Come consumatori dovremmo far sentire la nostra voce e chiedere alle aziende di indicare sull’etichetta la filiera produttiva dei capi e il costo di ogni passaggio: questo sarebbe già un primo importante step per potersi definire un brand responsabile e trasparente.

Una volta fatte nostre tutte queste piccole abitudini, la rivoluzione sarà iniziata e risulterà molto più facile e spontaneo compiere la scelta giusta.
Fare shopping deve comunque rimanere un piacevole momento di svago che ci permetta sia di valorizzare la nostra personalità, sia di definire il modo in cui vogliamo presentarci al mondo. Per fare ciò non è necessario indossare grandi firme e conformarsi ai trend del momento, ma indirizzarsi ad esempio su pezzi alternativi e dalle trame suggestive che possiamo scovare in un negozio dell’usato.
Entrare in un megastore dove è possibile trovare per ogni articolo tutte le taglie disponibili è sicuramente molto più facile, ma esplorare un negozio vintage come quelli di Humana è una continua scoperta. Chi si affaccia a questo mondo per la prima volta, potrà perdersi tra capi unici a prezzi accessibili. Crediamo infatti che la sostenibilità debba essere alla portata di tutti, solo così la portata del cambiamento nel settore della moda sarà significativa.

Ogni indumento disponibile nei nostri store proviene dai contenitori stradali Humana: abiti che ci vengono affidati dai cittadini con lo scopo di dargli una nuova vita. Ogni indumento viene analizzato con cura per essere valorizzato al meglio, ad esempio raggiungendo la nostra catena di negozi Humana Vintage e Second Hand. Proprio qui, grazie a un gesto consapevole di acquisto, è possibile contribuire alla realizzazione dei nostri progetti socio-ambientali in Italia e nel mondo, generando così degli impatti positivi per il pianeta e le persone.

Comprare vintage significa quindi costruire il proprio stile unico non contribuendo al consumismo e all’inquinamento dovuto alla sovrapproduzione del Fast Fashion, ma agendo per il nostro futuro e quello del nostro pianeta!