In un’epoca in cui i cittadini sono sempre più attenti all’ambiente, la sostenibilità diventa un argomento chiave e al centro delle scelte di consumo. Allo stesso modo, però, il rischio di essere ingannati da dichiarazioni ambientali fuorvianti è più alto che mai. Ma come distinguere l’impegno reale dalle strategie di marketing ingannevoli?

di Erika Gelatti

Negli ultimi anni, le tematiche ambientali e sociali sono entrate stabilmente nell’agenda pubblica, influenzando le scelte di consumatori, aziende e istituzioni. I brand, consapevoli dell’importanza della sostenibilità e della crescente attenzione dei propri clienti, spesso ne fanno un pilastro della propria comunicazione. Ma non tutto ciò che viene definito green lo è realmente. Il Parlamento Europeo definisce il fenomeno del Greenwashing come “La pratica messa in atto per dare una falsa impressione degli impatti ambientali o dei benefici di un prodotto, che può trarre in inganno i consumatori”.[1] Etimologicamente, il termine deriva dall’unione di due parole, green cioè “verde” e washing cioè “lavaggio“, stando proprio a indicare la creazione e propagazione di un’immagine ambientalista ed ecologica, nonostante gli impatti ambientali negativi generati che vengono appunto nascosti o oscurati.[2] Secondo un’indagine della Commissione Europea, nel 2020 il 53,3% delle dichiarazioni ambientali esaminate erano vaghe, fuorvianti o infondate, e il 40% era completamente infondato.[3] Queste includono affermazioni come “eco-friendly”, “sostenibile” o “rispettoso dell’ambiente” senza però alcuna prova concreta a supporto.

Il Greenwashing è ormai diventato familiare a molti al punto che numerose sono state le azioni messe in atto per contrastare, sia a livello territoriale che internazionale, questa pratica ingannevole che, il più delle volte, rischia di compromettere la fiducia dei consumatori, oltre che rallentare la vera transizione ecologica. In questo contesto, l’Unione Europea ha introdotto nuove normative. Tra queste spicca la Direttiva 2024/825/UE sulle affermazioni ambientali, la Green Claims Directive, entrata in vigore il 27 marzo 2024. La normativa mira a garantire che le dichiarazioni ambientali siano:

  • verificabili cioè basate su prove concrete e documentabili;
  • trasparenti cioè facilmente comprensibili ai consumatori e basate su dati scientifici;
  • coerenti cioè allineate con le pratiche aziendali reali e sottoposte a verifica da parte di terzi.

La stessa direttiva prevede anche che le aziende che non rispettano queste normative possano essere sanzionate con multe pari fino al 4% del loro fatturato annuo.[4]

Per evitare il Greenwashing, però, non è sufficiente evitare dichiarazioni ingannevoli. Per essere credibili, le aziende devono anche adottare un modo di comunicare la sostenibilità che sia in linea con i principi ESG (Environmental, Social, Governance). Una comunicazione ESG efficace dovrebbe:

  1. basarsi su dati concreti: ad esempio, utilizzare indicatori chiari come la riduzione delle emissioni di CO₂ o l’uso di materiali riciclati rispetto all’anno precedente;
  2. essere coerente con le azioni aziendali: non è sufficiente, ad esempio, utilizzare un packaging riciclabile se l’intera catena produttiva è altamente impattante;
  3. includere obiettivi misurabili e aggiornamenti periodici: ad esempio, fornendo ai propri consumatori aggiornamenti regolari sui progressi e sugli obiettivi raggiunti;
  4. essere certificata da enti indipendenti: ottenere certificazioni da enti indipendenti, come l’Ecolabel UE, la ISO 14001 per la gestione ambientale o la SA8000 per la responsabilità sociale.

Su questa scia, un altro elemento chiave è l’educazione dei consumatori; è fondamentale che le aziende si facciano portavoce di azione consapevoli e trasparenti, fornendo informazioni che aiutino i propri consumatori a comprendere l’importanza di compiere scelte sostenibili.[5]

A fare da contraltare al Greenwashing vi è un nuovo fenomeno: il Greenhushing, ovvero la tendenza di alcune aziende a non comunicare le proprie iniziative sostenibili per il timore di essere accusate di ipocrisia o per evitare critiche. Anche questo atteggiamento porta con sé degli effetti negativi. In primo luogo esso rallenta la cultura della trasparenza: i consumatori rischiano, infatti, di non aver accesso alle informazioni necessarie per compiere scelte di consumo consapevoli. Questo può generare una perdita di fiducia, facendo interpretare la mancanza di comunicazione come mancanza di impegno concreto. Infine, il Greenhushing riduce l’effetto emulativo che scaturisce dalla buona comunicazione, rendendo più complesso il confronto tra aziende che rischiano di non avere punti di riferimento positivi da cui trarre ispirazione e ostruendo il progresso verso un mondo più sostenibile.[6] Secondo uno studio della società di consulenza South Pole, il Net Zero Report, nel 2024 il 58% delle aziende con obiettivo zero emissioni afferma che ha diminuito drasticamente la comunicazione esterna sui propri obiettivi climatici e quasi il 20% l’ha del tutto eliminata.[7] Un mondo in cui nessuno parla dei propri progressi è di fatti un mondo in cui è più difficile imparare, migliorare e creare fiducia.

Il settore della moda è uno dei più esposti al rischio di Greenwashing. Molti brand promuovono collezioni “consapevoli” o “verdi” senza però cambiare realmente i propri modelli produttivi che, nella maggior parte dei casi, sono invece altamente impattanti. Il fast fashion, in particolare, è stato criticato per campagne pubblicitarie che enfatizzano il riciclo e il risparmio idrico, mentre i fatti dimostrano che è ininterrotta la produzione di milioni di capi a basso costo ogni anno, con enormi conseguenze negative sull’ambiente e sulle persone. In un settore su cui è riversata l’attenzione di molti, si fa ancora più urgente la necessità di lanciare segnali positivi per provare a fare la differenza; è l’impegno quotidiano di Humana People to People Italia che, attraverso il riutilizzo degli abiti usati, promuove la sostenibilità. Humana si distingue per la sua filiera trasparente e tracciata nella quale gli indumenti e gli accessori donati dai cittadini vengono valorizzati attraverso la selezione e destinazione al riutilizzo o al riciclo, contribuendo alla riduzione dei rifiuti tessili. Nel 2024, Humana People to People Italia ha raccolto più di 27.000 tonnellate di abiti, permettendo di risparmiare più di 182 milioni di litri d’acqua e riducendo l’emissione nell’ambiente di quasi 247.000 tonnellate di CO₂ equivalente. Ma non si tratta solo di impatti ambientali: Humana reinveste i proventi ricavati dalla vendita dei capi usati in progetti di cooperazione allo sviluppo, educazione e salute nei 46 Paesi in cui la Federazione di cui fa parte è presente: nel 2024, i progetti attivati a livello mondiale sono stati più di 1.800.[8] Il suo agire costituisce un modello positivo che dimostra come la sostenibilità possa essere misurabile, realizzata concretamente e comunicata con trasparenza.

Il Greenwashing e il Greenhushing rappresentano due facce della stessa medaglia: la mancanza di trasparenza nella comunicazione. Per evitare entrambi i fenomeni e promuovere una vera sostenibilità, è fondamentale che le aziende adottino pratiche di comunicazione chiare, verificate, coerenti con le loro azioni e a lungo termine, assumendosi la responsabilità non solo delle proprie azioni ma anche della modalità con cui decidono di comunicarle. Anche i consumatori possono fare la loro parte, a partire da un maggiore senso critico verso le numerose informazioni che quotidianamente ricevono. Piccoli gesti per diventare più consapevoli: ad esempio, leggere le etichette di prodotti, informarsi sull’attendibilità dei dati e delle dichiarazioni, decidere di premiare solo chi risulta essere davvero coerente. La sostenibilità ha bisogno di verità, non di slogan, e ognuno può essere parte di questo cambiamento, ma è necessario un impegno condiviso.


[1] Parlamento Europeo, Articolo del 16 gennaio 2024, «Fermare il greenwashing: come l’UE regola le asserzioni ambientali»

[2] Wiktionary, Greenwash

[3] Commissione Europea, Comunicato Stampa del 22 marzo 2023, «Protezione dei consumatori: permettere scelte sostenibili e porre fine al greenwashing»

[4] Commissione Europea, Green Claims

[5] Posteri, D. (2023), “Comunicare correttamente le iniziative ESG”, Delta Marketing

[6] Romeo, A. (2023), “Greenhushing: cos’è e che rischi comporta per le aziende”, Non solo ambiente.it – Comunicare la sostenibilità

[7] South Pole – The Climate Company (2024), “Destination Zero, Executive summary

[8] Humana People to People, Progress Report 2024