Il non profit ai tempi dell’algoritmo
In un’epoca in cui gli algoritmi spingono a ripensare le proprie modalità di lavoro, le ONG sono chiamate ad adottare strategie multicanale e puntare su nuove competenze digitali.
di Francesca Napoletano
Il settore non profit sta vivendo una trasformazione senza precedenti, secondo l’ISTAT Il 79,5% delle organizzazioni non profit in Italia ha utilizzato almeno una tecnologia digitale già nel 2021[1], il motivo principale che ha disincentivato l’utilizzo per il restante 20,5% è chiaro: mancano le risorse finanziarie[2].
La comunicazione digitale non è più un’opzione ma una necessità
Oggi chi comunica per un’organizzazione non profit deve capire gli algoritmi, anticipare il comportamento dei motori di ricerca, tradurre valori in engagement, e sì… anche saper parlare con le intelligenze artificiali.
Non si tratta solo di avere un sito web aggiornato o una pagina Facebook attiva. Il vero tema è: come restare rilevanti in un mondo governato dagli algoritmi?
La risposta non sta nella tecnologia in sé, ma nella capacità di usare gli strumenti digitali per rafforzare relazioni, visibilità e fiducia.
Nel 2025 la comunicazione del terzo settore si muove in un ecosistema nuovo, in cui AI, SEO e contenuti generativi stanno cambiando non solo il come, ma soprattutto il perché e il per chi si comunica[3].
La sfida vera? Farsi trovare
Le organizzazioni non profit oggi devono competere con brand, influencer, e… altri enti come loro.
Negli ultimi anni, il modo in cui le persone scoprono, seguono e sostengono una causa sociale è mutato profondamente. L’avvento di diversi strumenti, tra cui motori di ricerca intelligenti (Google Search Generative Experience), contenuti generativi (AI copy e AI image) e di nuovi algoritmi social basati su interesse e non su cronologia, ha reso chiaro un fatto: il contenuto è ancora re, ma il contesto è la nuova regina.
Le persone oggi non cercano più “donazioni” o “progetti solidali” nel modo classico. Cercano storie che le rappresentino, progetti trasparenti, esperienze condivisibili. E spesso, è un algoritmo a decidere se questi contenuti arriveranno mai sotto i loro occhi[4].
Il rischio: essere irrilevanti
Molte realtà del non profit italiano ancora oggi comunicano in modo autoreferenziale. Pubblicano aggiornamenti organizzativi, iniziative locali o comunicati stampa, ma non parlano il linguaggio del pubblico digitale.
La mancanza di una strategia porta a conseguenze concrete:
- Siti invisibili su Google (assenza di ottimizzazione SEO)
- Social gestiti in modo sporadico e inefficace
- Newsletter inviate senza logica di funnel o target
- Nessun tracciamento di performance e obiettivi reali
In Europa, al contrario, molte ONG e ETS applicano approcci ispirati al marketing sociale, utilizzando la comunicazione come strumento di advocacy e fundraising digitale, integrando metriche, campagne targettizzate, e strumenti di automazione e intelligenza artificiale[5].
Le opportunità: cosa può fare davvero un ente oggi
La buona notizia? Anche con risorse limitate, è possibile compiere passi concreti per una comunicazione moderna, efficace e coerente con i valori del non profit.
1. Adottare una visione strategica
Non basta “essere online”. Serve capire chi si vuole raggiungere, con quale messaggio e su quali canali.
Ogni ente dovrebbe avere un piano editoriale, obiettivi annuali e KPI realistici (come apertura newsletter, nuovi contatti, tempo di lettura sul sito, tasso di completamento di una call to action).
2. Comunicare in modo narrativo, non solo informativo
Le persone non si emozionano per i numeri, ma per le storie. Usare lo storytelling permette di trasmettere impatto, fiducia e senso di appartenenza.
Raccontare la vita di un beneficiario, come nasce un progetto, o le emozioni dei volontari è molto più efficace di un bilancio sociale in PDF.
3. Lavorare in ottica di discoverability
Essere trovati è importante tanto quanto essere seguiti.
Questo significa ottimizzare i contenuti lato SEO (titoli, descrizioni, parole chiave) e preparare il sito e i testi per essere letti anche da motori AI-based (come Google SGE o Bing AI).
I contenuti devono rispondere a domande reali, usare schema markup, e prevedere testi ben strutturati.
4. Integrare strumenti di intelligenza artificiale con intelligenza umana
Usare AI gratuitamente per generare bozze, analizzare dati, ottimizzare testi è possibile anche per enti piccoli. Ma la regola è: l’AI deve servire la relazione, non sostituirla.
5. Formare il team e ridurre il digital divide
Il vero ostacolo oggi non è solo economico, ma culturale. Molte realtà faticano a digitalizzarsi perché manca formazione interna.
Le best practice europee prevedono la creazione di “ambasciatori digitali interni”, percorsi di formazione continua, e il coinvolgimento dei volontari anche nelle attività online.
6. Monitorare, misurare, adattare
Senza un sistema di tracciamento, la comunicazione resta cieca. È fondamentale monitorare le performance (Google Analytics, Meta Insights, CRM), analizzare ciò che funziona e correggere la rotta.
Il vero digital divide nel non profit? È culturale.
Non è solo mancanza di budget. È mancanza di consapevolezza.
La mancanza di fondi, di competenze tecniche e la necessità di cambiare la cultura interna dell’organizzazione sono le barriere principali all’adozione del digitale negli enti non profit.
Molte organizzazioni non profit italiane non hanno ancora una strategia digitale strutturata. Secondo un’analisi di Pensieri & Colori, nel 2025 oltre il 60% degli enti ha una presenza digitale statica, poco aggiornata e raramente ottimizzata per il SEO o il fundraising online[6].
Questo genera due problemi principali: la disperione di energie su attività a basso impatto (es. post social senza obiettivi misurabili) e la perdita di occasioni di accesso a bandi e fondi dedicati alla digitalizzazione.
Comunicare è fiducia, non visibilità
Per un ente del Terzo Settore, la comunicazione è un atto politico, culturale e sociale.
Raccontare bene il proprio operato, usando gli strumenti del presente, significa aumentare la fiducia, attirare nuovi sostenitori e rafforzare la propria sostenibilità. Humana People to People Italia si impegna a presidiare ogni fase del funnel digitale, e lo fa in primis attraverso i suoi negozi Humana Vintage e Humana People, vetrine di valore che diventano dei veri e propri hub narrativi (se vuoi saperne di più sui nostri negozi, leggi qui): Grazie a micro-campagne di influencer marketing con creator locali e tematici, raccontiamo il nostro impatto attraverso chi lo vive e lo sostiene. A questi si affiancano newsletter personalizzate per ogni fase del funnel, pensate per chi entra in contatto con noi: dal primo benvenuto fino alla fidelizzazione. Ma non basta essere presenti online: bisogna farlo in modo rilevante, coerente, riconoscibile. La vera sfida non è usare l’AI, ma restare umani in un mondo automatizzato. Per questo i nostri negozi ospitano eventi, dibattiti e workshop dove generare reale cambiamento consapevole, a cui hanno preso parte nel corso degli anni pubbliche amministrazioni, brand, aziende ed enti e coinvolto la comunità locale.
[1] Censimento permanente delle Istituzioni non profit – Istat, infografica-istituzioni-nonprofit-digitalizzazione.pdf.
[2] Ibidem.
[3] Pensieri & Colori, “Perché la comunicazione digitale è essenziale per il Terzo Settore nel 2025”, https://pensieriecolori.it/blog/terzo-settore-comunicazione-digitale-perche-importante-nel-2025/.
[4] Pensieri & Colori, “Perché la comunicazione digitale è essenziale per il Terzo Settore nel 2025”, https://pensieriecolori.it/blog/terzo-settore-comunicazione-digitale-perche-importante-nel-2025/
[5] Pensieri & Colori, “Come comunicare il Terzo Settore online: strumenti e strategie per il 2025”, https://pensieriecolori.it/blog/come-comunicare-il-terzo-settore-online-strumenti-e-strategie-per-il-2025/
[6] Pensieri & Colori, “Terzo Settore e Digitale: a che punto siamo?”, https://pensieriecolori.it/blog/terzo-settore-e-digitale/